Giovanni Capo (da Il Sole 24 Ore del 19 dicembre 2023)

L’incauta concessione di credito, mediante nuove erogazioni o il mantenimento di affidamenti già in essere, a favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi e che, sulla base di una valutazione compiuta ex ante, non possa ragionevolmente ritenersi in grado di superare siffatta condizione, deve ritenersi abusiva: con la conseguenza, che l’istituto di credito che, con dolo o colpa, se ne sia reso fautore è chiamato a rispondere – in concorso con il titolare dell’impresa o con gli organi di questa – dei danni arrecati ai creditori dell’imprenditore medesimo, per aver contribuito a ritardare l’emersione della crisi che lo ha colpito e, così, ad aggravarne il dissesto.

Ciò che rileva ai fini dell’imputazione al soggetto finanziatore di tale responsabilità, quindi, non è solo il fatto che l’impresa finanziata si trovi in uno stato di crisi o d’insolvenza – come oggi definito dall’articolo 2, lettere a) e b), del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – noto o conoscibile al primo: rileva, piuttosto, l’insussistenza di fondate prospettive di superamento di quella crisi, valutabili con ragionevolezza dall’operatore creditizio al momento della condotta addebitatagli.

Questa, in termini essenziali, la posizione della giurisprudenza più recente, espressa nitidamente dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 18610 del 30 giugno 2021 – e richiamata dalla stessa Suprema Corte nell’ordinanza n. 1387 del 18 gennaio 2023 – nella quale si rimarca che osservando una siffatta condotta l’impresa finanziatrice contravviene all’obbligo di «sana e prudente gestione» enunciato dall’articolo 5 del Tub e viola, altresì, la normativa speciale del settore creditizio (in particolare, le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dettata dalla circolare n. 229 del 21 aprile 2009) e l’Accordo di Basilea 2 sul rating, integrando gli estremi della concessione abusiva di credito.

Su tale sfondo, con l’ordinanza n. 29840 del 27 ottobre 2023, la prima sezione civile della Corte di cassazione, anche riportandosi a tali arresti, ha ritenuto che l’accertamento giudiziale, in sede di merito, della sussistenza dei presupposti per contestare a un istituto bancario la concessione abusiva di credito (con l’adozione delle conseguenti statuizioni), debba fondarsi su una motivazione che dia conto non solo degli elementi sulla cui base il giudice ha formato il proprio convincimento, ma anche della «approfondita disamina logico/giuridica» di tali elementi. Diversamente, la decisione adottata sconta il vizio di «motivazione apparente», figura sintomatica del vizio di «omesso esame di fatti decisivi per il giudizio» di cui all’articolo 360, n. 5, del Codice di
procedura civile.

Nel caso venuto al suo esame, la Suprema Corte ha rilevato tale vizio nel decreto con cui era stata rigettata l’opposizione allo stato passivo di un fallimento proposta da un istituto bancario, la cui domanda di insinuazione era stata respinta sul presupposto che fosse intesa a far valere un credito erogato allorché era palese lo stato di insolvenza della società poi fallita; di modo che, doveva ritenersi che la banca avesse concorso con gli organi di gestione e di controllo della società ad aggravare il dissesto patrimoniale e finanziario della compagine, condotta della quale, peraltro, la curatela fallimentare si era riservata di chiamarla a rispondere.

Il giudice di legittimità, in effetti, ha, opportunamente, attribuito un «significato neutro» e una valenza «non decisiva» agli elementi da cui nel decreto impugnato si è fatta discendere, da un lato, la percepibilità, per l’operatore finanziario, della situazione di crisi in cui la società finanziata versava al momento della conclusione del contratto di finanziamento, dall’altro, la assoluta mancanza di prospettive di soluzione della crisi stessa, ossia: «la modesta consistenza del capitale sociale, la “debolezza” dell’assetto economico della società”, l’applicazione di interessi passivi atti a generare un indebitamento rilevante, l’“aspecifico” rilievo delle perdite di cui ai bilanci degli esercizi 2001 e successivi, l’assunta inadeguatezza della garanzia ipotecaria accordata in relazione “alle caratteristiche concrete dell’operazione immobiliare finanziata”».

In sostanza, secondo la valutazione della Suprema Corte, la mera indicazione di elementi probatori, cui non si accompagni la descrizione del percorso logico-giuridico che, muovendo dagli stessi e attraverso il loro esame critico, ha infine condotto il giudicante al convincimento, espresso nella propria pronuncia, della responsabilità dell’istituto bancario per concessione abusiva del credito, altro non può concretare se non una «motivazione apparente» e, quindi, tale da viziare, sul piano della legittimità, la decisione che ne consegue, inducendone la cassazione con rinvio al giudice di provenienza.

Indirizzo

Piazza Alario, 184121 Salerno

mail:

segreteria@ccsavvocati.it

Telefono

+39 089 241714
+39 089 231150